lunedì 14 ottobre 2013

Solo per orecchie forti





“Ci senti? Ma ne sei proprio sicuro? Secondo me avresti bisogno di un bel controllo, te lo dico io!”
Nulla da fare, non riusciva a rassegnarsi: gli altri non sentivano quello che lui cercava di dire. Perché non era una questione di ascolto, quanto piuttosto proprio di facoltà dell’udire.
Non ci provava più, ad ottenere una comprensione piena, ma un tempo ci aveva sofferto parecchio. 
Gli sembrava di vivere dietro una lastra di vetro trasparente, dalla quale poteva vedere lo scorrere dei volti davanti a lui, ma non farsi vedere. Né tantomeno quindi, fare udire la propria voce. 
Allora mimava l’atto del parlare, ascoltando dentro il rimbombo delle parole che gli raccontavano di sé tutto ciò che nessun altro avrebbe mai potuto sapere.
L’abitudine alla pantomima era diventata così radicata e profonda, con il passare delle albe e dei tramonti, che alla fine aveva sviluppato un linguaggio peculiare, tutto suo e ben codificato, senza che se ne rendesse conto fino in fondo.
Le parole uscivano a fiotti, e senza preavviso: poteva accadere a qualsiasi ora del giorno o della notte, che il fiume vomitasse la sua piena.
Il paradosso era che ora alle orecchie degli altri quelle parole urlavano forte, mentre a lui sembrava avessero una voce sottile e sussurrante.
Quando poi sceglieva un manto di silenzio nel quale raggomitolarsi, con la coda dell’occhio gli sembrava di accorgersi di occhiate sospettose; allora partiva una musica cacofonica, per coprire l’imbarazzo di non sentirsi a casa.
Una notte tutto ciò esplose: le lenzuola si squarciarono da sole in un mastodontico urlo di protesta, e fu l’inizio della fine, e del nuovo inizio al tempo stesso.
Tutte quelle parole abbracciarono il silenzio, e si fecero torrente imperturbabile.

Nulla aveva più importanza.